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Guida 2025 Invalidità Civile

Congedo di 30 giorni per cura: a quali lavoratori spetta?

Approfondimenti

Tra le tutele riconosciute ai lavoratori con disabilità, vi è anche il diritto ad un congedo retribuito finalizzato alla cura della propria condizione invalidante. Si tratta di un’agevolazione spesso poco conosciuta, ma prevista dalla normativa vigente a favore dei soggetti con invalidità civile superiore al 50%. In questo articolo esamineremo i requisiti per accedere al beneficio, le modalità di richiesta e gli effetti sul rapporto di lavoro. Il presupposto: invalidità civile superiore al 50% Il congedo per cure è riconosciuto al lavoratore che abbia ottenuto il riconoscimento dell’invalidità civile con una percentuale superiore al 50%, indipendentemente dal settore di impiego (pubblico o privato).La previsione si fonda sull’art. 26, comma 3, della Legge n. 118/1971, che stabilisce il diritto per gli invalidi civili, in possesso del suddetto requisito, a fruire di un periodo annuale di congedo retribuito fino a 30 giorni, per sottoporsi a cure connesse alla patologia invalidante. Il beneficio è rinnovabile ogni anno e può essere utilizzato anche in modalità frazionata, secondo le necessità terapeutiche del lavoratore. Modalità di richiesta e documentazione necessaria Per ottenere il congedo, il lavoratore deve: presentare apposita istanza al proprio datore di lavoro allegando la richiesta di cure redatta da un medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale oppure da un sanitario operante presso una struttura pubblica.   Tale certificazione deve contenere l’indicazione chiara della necessità della cura in relazione alla specifica infermità invalidante per la quale è stato riconosciuto lo status di invalido civile. È bene ricordare che il datore di lavoro non può negare il congedo se sussistono i presupposti di legge e la documentazione è corretta e completa. Trattamento giuridico ed economico del periodo di congedo Un aspetto rilevante riguarda gli effetti del congedo sul rapporto di lavoro. La normativa chiarisce che il periodo fruito per cure non è computabile nel periodo di comporto, ovvero quel limite massimo di assenze per malattia oltre il quale il datore può procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. In altri termini, i giorni di congedo per cure si aggiungono ai normali periodi di malattia, senza intaccarne la disponibilità.Dal punto di vista retributivo, al lavoratore spetta il trattamento economico previsto dal contratto collettivo per le assenze per malattia, salvo disposizioni migliorative. Obbligo di documentare le cure effettuate Al termine del congedo, il lavoratore ha l’obbligo di documentare l’effettivo svolgimento delle cure per le quali il congedo era stato richiesto.La documentazione sanitaria, che attesta l’avvenuta sottoposizione a trattamenti terapeutici, deve essere messa a disposizione del datore di lavoro su richiesta, per evitare contestazioni e per comprovare la legittimità dell’assenza. Il mancato rispetto di questo adempimento può determinare responsabilità disciplinare e decadenza dal beneficio. 📘 Approfondimento normativo Art. 7 del D.lgs. 18 luglio 2011, n. 119 “…i lavoratori mutilati e invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacita’ lavorativa superiore al cinquanta per cento possono fruire ogni anno, anche in maniera frazionata, di un congedo per cure per un periodo non superiore a trenta giorni..” 💡 Suggerimenti utili Verifica la percentuale di invalidità civile riconosciuta: il beneficio è riservato solo ai lavoratori con invalidità superiore al 50%. Conserva tutta la documentazione sanitaria: sia quella allegata alla richiesta sia quella rilasciata a seguito delle cure. Attenzione alla tempistica: il congedo è annuale e non si accumula se non utilizzato. In caso di diniego o difficoltà nella fruizione, valuta l’opportunità di rivolgerti a un legale esperto in invalidità civile e disabilità per tutelare i tuoi diritti. Per maggiori approfondimenti in tema di invalidità civile scarica qui gratuitamente la mia GUIDA INVALIDITA’ CIVILE 2025 

20 Giugno 2025 / Commenti disabilitati su Congedo di 30 giorni per cura: a quali lavoratori spetta?
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Discriminazione avverso le persone con disabilità: strumenti di tutela legale

Approfondimenti

La definizione normativa e la Convenzione ONU La Legge 1 marzo 2006, n. 67, recante “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”, rappresenta il principale strumento di protezione contro gli atti discriminatori fondati sulla condizione di disabilità. Essa si pone in continuità e attuazione dei principi sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia con L. 18/2009), il cui scopo è “promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità” e che definisce la discriminazione come qualsiasi distinzione, esclusione o restrizione basata sulla disabilità, che abbia lo scopo o l’effetto di compromettere il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali. L’applicazione limitata della Legge e la scarsa consapevolezza La legge 67 del 2006, benché molto importante per la tutela delle persone con disabilità, è purtroppo ancora scarsamente applicata e, ciò, probabilmente per ragioni culturali ovverosia per una ancora presente scarsa consapevolezza degli strumenti giudiziari a disposizione della persona con disabilità. Ma ancor prima, perché molti atti discriminatori non vengono neppure percepiti come tali. E’ dunque fondamentale che la persona con disabilità abbia contezza di questi aspetti tenuto conto che il fattore disabilità comporta esposizione a comportamenti illegittimi, talvolta posti in essere dalla stessa pubblica amministrazione. Tipologie di discriminazione: diretta, indiretta (e molestia) La legge individua due tipologie di discriminazione: Discriminazione diretta: si ha quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente rispetto a una persona non disabile in situazione analoga. Discriminazione indiretta: si ha quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altri. Sono, altresì, considerate discriminazioni le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati connessi alla disabilità che violano la dignità e la libertà della persona, oppure creano un clima di intimidazione, umiliazione e ostilità. Rientra nella discriminazione indiretta anche il rifiuto di un accomodamento ragionevole. Esempi pratici: quando la discriminazione è diretta e quando è indiretta? Mentre la discriminazione diretta è facilmente percepibile, non è sempre così per la discriminazione indiretta. Facciamo un semplice esempio chiarificatore: un museo che espone un cartello con il divieto di ingresso per le persone cieche pone in essere un comportamento esplicitamente fondato sulla disabilità, determinando un’esclusione diretta e vietata dalla legge (discriminazione diretta). Un museo che, invece, espone un cartello con il divieto di ingresso ai cani, senza prevedere alcuna eccezione per i cani guida, attua una prassi solo apparentemente neutra, che però di fatto esclude le persone non vedenti accompagnate dal loro ausilio (discriminazione indiretta). L’irrilevanza dell’intento soggettivo La prima cosa che si deve sapere è che la discriminazione risulta integrata anche in assenza della volontà di discriminare da parte dell’agente la discriminazione si configura anche quando il comportamento è posto in essere senza l’intento di ledere o di discriminare.: Quindi non rileva affatto l’elemento soggettivo e, conseguentemente, la persona con disabilità non è tenuta a dimostrare l’intento soggettivo del soggetto o dell’istituzione che ha posto in essere la condotta discriminatoria, ma solo il fatto in sé di averla subito. Si tratta di un concetto di grande portata. Il procedimento giudiziario e l’urgenza La Legge accorda una disciplina processuale particolare che è di grande favor verso la persona con disabilità, soprattutto dal punto di vista probatorio, come vedremo tra breve. Il procedimento giudiziario previsto dalla L. 67/2006 è un procedimento “snello”, vale a dire che non è soggetto alle rigide prescrizioni previste dal normale rito di cognizione. Inoltre è stabilità la possibilità di agire in via d’urgenza nei casi in cui vi sia il fondato rischio che il trascorrere del tempo possa compromettere irrimediabilmente il diritto della persona con disabilità Uno degli aspetti più innovativi e incisivi della disciplina riguarda l’inversione parziale dell’onere della prova. In base alla normativa, non spetta alla persona con disabilità provare di aver subito la discriminazione, bensì al presunto discriminante l’onere di dimostrare di non aver messo in atto una o più discriminazioni. Ciò comporta una significativa facilitazione nell’accesso alla giustizia da parte dei soggetti discriminati in ragione della loro posizione di “soggetti deboli”. Le azioni collettive e il ruolo delle associazioni Un altro aspetto di fondamentale rilievo riguarda l’attribuzione della legittimazione attiva alle associazioni e agli enti iscritti in apposito registro ministeriale, i quali possono proporre azioni collettive a tutela dei diritti delle persone con disabilità. Tale possibilità rappresenta un importante strumento per contrastare prassi discriminatorie sistemiche e che assumono carattere collettivo, spesso poste in essere da enti pubblici o privati che operano su larga scala. Esempi significativi includono: autobus non attrezzati con pedane sollevatrici, treni privi di sufficienti posti attrezzati, esclusioni da centri estivi operate dagli enti gestori. Le decisioni del giudice in caso di accoglimento Con la sentenza di accoglimento della domanda antidiscriminatoria, il giudice può: Ordinare la cessazione del comportamento, condotta o atto discriminatorio. Adottare ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti, anche nei confronti della pubblica amministrazione. Ordinare l’adozione di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate. Nei casi di discriminazione collettiva, il piano va adottato sentito l’ente collettivo ricorrente Condannare al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, in favore del soggetto discriminato. Ordinare la pubblicazione della sentenza, per una sola volta e a spese del convenuto, su un quotidiano a diffusione nazionale Conclusioni La tutela contro le discriminazioni fondate sulla disabilità costituisce un presidio fondamentale per l’effettiva attuazione del principio di eguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 della Costituzione. La Legge n. 67 del 2006, in linea con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia, offre uno strumento giuridico efficace per reagire a condotte discriminatorie, anche quando poste in essere dalla pubblica amministrazione o da soggetti privati titolari di servizi essenziali. È pertanto auspicabile una maggiore diffusione della conoscenza di tali strumenti, non solo tra le persone con disabilità e le loro famiglie, ma anche tra gli operatori del diritto, affinché possano essere attivate tutte le tutele previste dall’ordinamento. E’

1 Giugno 2025 / Commenti disabilitati su Discriminazione avverso le persone con disabilità: strumenti di tutela legale
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Centri estivi e disabilità: ogni anno le stesse prassi discriminatorie

Approfondimenti

  Con l’avvicinarsi della stagione estiva, si ripropongono puntualmente situazioni di esclusione, limitazione o trattamento economico deteriore nei confronti di bambini e ragazzi con disabilità che intendono accedere alle attività organizzate dai centri estivi. Tali prassi, ancora troppo diffuse su tutto il territorio nazionale, costituiscono vere e proprie forme di discriminazione vietate dalla legge, e ci riferiamo alla Legge n. 67 del 2006 che tutela le persone con disabilità da ogni atto o comportamento che, benché apparentemente neutro, le metta di fatto in “una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone“. Le condotte discriminatorie più ricorrenti Tra le condotte che integrano una violazione della normativa antidiscriminatoria si segnalano: l’esclusione tout court del minore con disabilità dal centro estivo, motivata da presunte difficoltà organizzative; la riduzione dell’orario di frequenza rispetto agli altri bambini; la richiesta, ai soli genitore dei minore con disabilità, di una maggiorazione della quota di partecipazione per garantire l’“assistenza dedicata”. Si tratta di prassi discriminatorie – spesso formalmente giustificate da ragioni economiche o da carenze di personale – che, in realtà, realizzano un trattamento deteriore, in contrasto con il principio di pari opportunità e con l’obbligo degli enti erogatori di garantire medesime condizioni di accesso. Il ruolo del personale di supporto e le limitazioni orarie La prassi, in particolare, di ridurre l’orario di frequenza del bambino con disabilità,  è strettamente correlata alla mancata predisposizione di un’adeguata assistenza individuale da parte del soggetto gestore del centro estivo.Tale personale – educativo o di affiancamento – rappresenta quasi sempre una condizione necessaria per consentire la partecipazione in condizioni di parità, e il suo mancato impiego o l’impiego parziale non può giustificare alcuna limitazione del diritto all’accesso o alla permanenza del minore nelle attività educative o ludico-ricreative. In questi casi, il soggetto gestore omette di adottare misure ragionevoli e proporzionate per garantire l’accesso al servizio, e ciò configura una discriminazione indiretta, espressamente vietata dall’art. 2 della L. 67/2006. Tutela giurisdizionale: strumenti individuali e collettivi La Legge n. 67/2006 consente a chiunque subisca un comportamento discriminatorio per ragioni connesse alla disabilità di agire in giudizio, anche in via d’urgenza, al fine di ottenere: l’inibitoria della condotta illecita; la rimozione degli effetti discriminatori; l’adozione di misure idonee a ripristinare il diritto leso; il risarcimento del danno. Si tratta di procedimenti che possono essere avviati anche in via d’urgenza al fine di apprestare tutela rispetto a situazioni che necessitano un intervento immediato e che possono essere attivati anche in pendenza del periodo estivo. In aggiunta, l’art. 4 della medesima legge riconosce legittimazione attiva anche alle associazioni o enti iscritti nell’apposito registro ministeriale, i quali possono esperire azioni collettive in presenza di prassi discriminatorie sistemiche, a tutela di una determinata categoria di persone con disabilità.  Parità di condizioni L’accesso ai centri estivi da parte dei minori con disabilità non rappresenta una concessione discrezionale, ma costituisce l’esplicazione dei principi di parità di trattamento e di pari opportunità (art. 1, L. 67/2006) che devono essere garantiti attraverso un’organizzazione dei servizi rispettosa del principio di uguaglianza sostanziale. Ogni comportamento che, in modo diretto o indiretto, impedisca o ostacoli tale accesso in condizioni di parità rappresenta una violazione della normativa antidiscriminatoria, e come tale può – e deve – essere contestato nelle sedi opportune. Se sei un genitore o un’associazione (iscritta all’apposito registro) che ha riscontrato una situazione analoga, è possibile quindi intervenire tempestivamente a tutela del proprio diritto. Se ti trovi in questa situazione contatta il mio studio per una valutazione preliminare e per valutare la strategia più adeguata.  

28 Maggio 2025 / Commenti disabilitati su Centri estivi e disabilità: ogni anno le stesse prassi discriminatorie
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Indennità di accompagnamento e autonomia parziale: il Tribunale di Treviso si pronuncia

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Con una recente sentenza, il Tribunale di Treviso ha accolto il ricorso da me presentato per conto del sig. M., riconoscendogli il diritto all’indennità di accompagnamento nonostante la sua parziale autonomia in alcune attività quotidiane. La decisione si è posta in linea con un consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione in materia di assistenza continuativa. Il caso L’INPS riteneva che il sig. M. non fosse in possesso dei requisiti sanitari necessari per beneficiare dell’indennità di accompagnamento. Secondo l’Istituto, il mio assistito era in grado di svolgere autonomamente alcuni atti della vita quotidiana, tra cui la deambulazione, seppur con qualche difficoltà. Riconosceva tuttavia che vi fosse necessità di assistenza “solo” per la vestizione della parte inferiore del corpo, ma riteneva tale necessità insufficiente ad integrare la condizione sanitaria legittimante il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento. Il Tribunale, invece, ha ritenuto determinanti le osservazioni svolte in corso di causa dal perito nominato che aveva evidenziato come le problematiche assistenziali del sig. M. derivassero principalmente da una grave problema articolare dell’anca, che rendeva difficoltosa la deambulazione e che, soprattutto, rendeva impossibile compiere determinati atti senza assistenza da parte di terze persone. In particolare, è emerso che il signor M. necessitava di aiuto per vestirsi e spogliarsi nella parte inferiore del corpo, non potendo flettere il busto, e per l’igiene personale, specialmente della metà inferiore del corpo, considerato l’uso costante di un presidio per incontinenza urinaria. Il principio giurisprudenziale applicato Il Tribunale di Treviso ha richiamato l’orientamento della Cassazione (Cass. n. 25255/2014 e Cass. n. 19545/2016), secondo cui, ai fini del riconoscimento dell’indennità di accompagnamento anche “l’incapacità di compiere un solo genere di atti può, per la rilevanza di questi ultimi e l’imprevedibilità del loro accadimento, attestare la necessità di una effettiva assistenza giornaliera”. Di conseguenza, il Giudice ha ritenuto che, sebbene il sig. M. fosse materialmente in grado di compiere alcune attività quotidiane, la sua necessità di assistenza continuativa per altre funzioni essenziali della vita quotidiana, come l’igiene personale e la vestizione della parte inferiore del corpo, risultava dirimente ai fini della concessione dell’indennità di accompagnamento. I risvolti economici Con questa sentenza, il Tribunale ha condiviso la mia prospettazione accertando il diritto del sig. M. a percepire l’indennità di accompagnamento sin dalla data della domanda amministrativa. Ciò ha consentito al mio assistito di percepire tutti gli arretrati maturati, quasi € 20.000, oltre al rimborso quasi totale delle spese legali sostenute. Pensi di aver diritti all’indennità di accompagnamento? clicca qui

17 Marzo 2025 / Commenti disabilitati su Indennità di accompagnamento e autonomia parziale: il Tribunale di Treviso si pronuncia
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Riduzione delle ore di sostegno a scuola: che fare?

Approfondimenti

Succede ormai sempre più spesso che le ore per il sostegno stabilite nel PEI (Piano Educativo Individualizzato)  siano poi successivamente ridotte. E’ legittimo tutto ciò? Cosa possono fare i genitori per tutelare il sacrosanto diritto del loro di figli con disabilità di frequentare la scuola al pari dei coetanei? Quali sono i criteri per attribuire le ore di sostegno? E’ doverosa una premessa prima di rispondere a queste domande. Le ore di sostegno vengono assegnate all’esito di una valutazione multidisciplinare e coordinata tra operatori della ASL di competenza, insegnanti e genitori. L’insieme di queste valutazioni va a costituire un documento in cui vengono descritti gli interventi predisposti per l’alunno con disabilità al fine di realizzare il suo diritto all’istruzione e all’educazione e dove vengono indicate anche le ore di sostegno necessarie per concretizzare questo obiettivo. Questo documento è il PEI ovvero il Piano Educativo Individualizzato. Il PEI, quindi, è un documento fondamentale nel quale è racchiuso il progetto didattico, educativo, riabilitativo e di socializzazione del bambino e dove sono proposti gli interventi finalizzati a ottimizzare le sue potenzialità e abilità nel contesto della proprie difficoltà. E’ legittimo assegnare all’alunno con disabilità meno ore di quelle previste nel PEI? Assolutamente no. Solo una revisione del PEI che dia atto di miglioramenti oggettivi tali da indicare una riduzione delle ore di sostegno può portare a tale risultato. Il PEI è infatti un documento vincolante per tutti i soggetti coinvolti nella sua redazione ed anche per il Dirigente scolastico, di talché è illegittima la riduzione di ore operata da quest’ultimo rispetto al PEI ed è impugnabile il relativo provvedimento. In particolare, il Dirigente scolastico non può assegnare ore di sostegno in meno rispetto a quelle previste nel PEI nemmeno per ragioni di vincolo finanziario. Infatti nel contemperamento degli interessi tra le ragioni finanziarie delle amministrazioni scolastiche e il diritto allo studio e all’inclusione scolastica del bambino con disabilità, non possono che prevalere questi ultimi, con buona pace per tutti. Cosa fare allora quando vengono attribuite meno ore di quelle indicate nel PEI? Quando vengono attribuite al proprio figlio meno ore di quelle invece previste nel PEI è necessario predisporre una formale contestazione diretta al Dirigente scolastico e agli organi amministrativi di grado superiore con la specifica richiesta di attenersi al rispetto di quanto indicato nel PEI.

5 Marzo 2025 / Commenti disabilitati su Riduzione delle ore di sostegno a scuola: che fare?
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INPS ti chiede di restituire la pensione? Attenzione: molto spesso non va restituita

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1. Indebito assistenziale: cos’è? Parliamo di indebito assistenziale quando determinate somme di denaro dovute a titolo di pensione o indennità continuano ad essere erogate da INPS anche in caso di sopravvenuta carenza dei requisiti previsti per legge. Cioè, per esempio: in caso di mancanza dei requisiti reddituali (il reddito percepito è superiore alla soglia prevista per legge per l’erogazione di una data pensione) in caso in mancanza dei requisiti sanitari in caso di mancanza dei requisiti socio-economici (incollocazione o disoccupazione) in caso di mancanza di requisiti di altra natura (es. ricovero gratuito in caso di indennità di accompagnamento) Quindi → quando l’INPS richiede la restituzione di somme indebitamente erogate stiamo parlando di indebito assistenziale: molti pensionati o percettori si trovano giustamente spiazzati di fronte a tali richieste non comprendendone nemmeno l’origine. Molti però non sanno che molto spesso le richieste di INPS sono illegittime e LE SOMME NON VANNO RESTITUTE Questi casi sono molti più di quello che si pensa anche se purtroppo, per disinformazione, molti percettori e pensionati di fronte ad una richiesta di restituzione da parte di INPS pensano di correre ai ripari pagando subito quanto richiesto, anziché informarsi preventivamente sulla legittimità della richiesta. In questo articolo vedremo nel dettaglio i casi in cui la cifra richiesta NON VA RESTITUITA e come potersi difendere di fronte ad una richiesta di pagamento. 2. Il quadro normativo e giurisprudenziale La regola generale prevista dal nostro ordinamento giuridico è che le somme indebitamente percepite debbano essere restituite. La norma di riferimento è l’art. 2033 c.c. secondo cui “Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere (cioè di vedersi restituito) ciò che ha pagato”. Questo principio generale però non si applica in alcuni settori del nostro ordinamento, vale a dire nel diritto previdenziale e assistenziale, materie molto delicate e per le quali il principio di buona fede e di tutela dell’affidamento vengono privilegiati rispetto al diritto di vedersi restituito quando indebitamente pagato. L’indebito assistenziale si inserisce dunque in un ambito in cui la normativa generale, come l’art. 2033 c.c., è derogata da principi specifici del diritto previdenziale e assistenziale. La Giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che l’indebito non vada restituito quanto il percettore si trova in una situazione “idonea a generare affidamento”, ovvero quando è in BUONA FEDE –  NON VANNO QUINDI RESTITUITE: le somme percepite in buona fede, per esempio nel caso in cui l’errore è stato fatto da INPS e il pensionato ha ricevuto quei soldi in buona fede (senza sapere che non gli spettavano). In questi casi la legge protegge il diritto a non restituire quanto ricevuto secondo il principio della “tutela dell’affidamento”. – VANNO INVECE RESTITUTE: le somme percepite per dolo o grave negligenza del beneficiario: la restituzione diventa obbligatoria se il beneficiario ha agito con dolo o grave negligenza, come ad esempio nel caso in cui si sono fornite false informazioni reddituali al fine di vedersi erogate prestazioni che non sarebbero spettate. → non tutti sanno, inoltre, che perfino le somme erogate in assenza dei requisiti reddituali vanno restituite SOLO a partire dalla data del provvedimento amministrativo che accerta il superamento della fascia di reddito. 3. Cosa fare se si riceve una richiesta di restituzione dall’INPS Se hai ricevuto una richiesta dall’INPS per la restituzione di somme erogate, ecco cosa fare: Verifica la motivazione della richiesta: analizza le ragioni indicate dall’ente, con particolare attenzione alle condizioni reddituali o ai requisiti mancanti. Consulta un legale esperto: rivolgiti a un Avvocato esperto in materia per valutare se sussistono i presupposti per contestare la richiesta. Avvia un’azione giudiziale: con l’assistenza di un Avvocato esperto in materia puoi proporre opposizione per difendere il tuo diritto, appellandoti ai principi di tutela dell’affidamento 4. Richiedi assistenza legale Hai ricevuto una richiesta di restituzione da parte dell’INPS e non sai come procedere? Contattami per una consulenza personalizzata: valuteremo insieme la tua posizione e i passi migliori per tutelare i tuoi diritti.  

16 Dicembre 2024 / Commenti disabilitati su INPS ti chiede di restituire la pensione? Attenzione: molto spesso non va restituita
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Nuovo progetto di vita per le persone con disabilità: ecco i miglioramenti in arrivo

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Con l’introduzione del D.Lgs. 62/2024, ovvero il Nuovo Decreto Disabilità ci stiamo traghettando verso una gestione più inclusiva e personalizzata del progetto di vita individuale, strumento già esistente dal 2000, ma che ora appare assolutamente rinnovato grazie a strumenti innovativi e che garantiscono una maggiore efficacia nell’attuazione dei diritti delle persone con disabilità. In questo articolo esploreremo le principali novità e i benefici di questa riforma. 1. Cosa è il Progetto di Vita Il progetto di vita rappresenta l’insieme delle strategie e degli interventi mirati a promuovere l’autodeterminazione, l’inclusione sociale e il benessere delle persone con disabilità. Tale concetto è stato rafforzato nel tempo, evolvendo da un approccio meramente assistenziale a uno basato sul modello bio-psico-sociale dell’ICF (International Classification of Functioning). Questo modello considera le interazioni tra la persona e l’ambiente circostante come determinanti per il pieno sviluppo delle potenzialità individuali. Il Riferimento Normativo: Art. 14 L. 328/2000 La Legge quadro 328/2000 è stata la prima a introdurre l’obbligo per i Comuni, in collaborazione con le ASL, di predisporre un progetto individuale per garantire la piena integrazione delle persone con disabilità. Questa norma sancisce il diritto a interventi coordinati che tengano conto delle dimensioni sanitaria, sociale, educativa e lavorativa.  Livello Essenziale di Base: differenza con gli altri Piani Personalizzati Il progetto di vita individuale è un livello essenziale di base, in quanto rappresenta lo strumento fondamentale per garantire una presa in carico globale, coordinata e continuativa della persona con disabilità. Questo strumento va ad integrare i singoli piani specifici eventualmente già esistenti (es. PEI, PAI, PRI), che si concentrano su ambiti circoscritti come l’educazione o la riabilitazione. A differenza di questi ultimi che si focalizzano un un aspetto limitato della vita di una persona (es. il PEI è il piano personalizzato che riguarda l’inclusione scolastica), il progetto di vita considera la persona nella sua interezza , tenendo conto dei suoi desideri, delle sue aspirazioni e delle sue necessità in tutti i contesti di vita. Ogni piano specifico quindi rappresenta una parte del progetto di vita, che funge da cornice unitaria per evitare frammentazioni e garantire interventi coerenti e mirati. Tutela Giuridica del Progetto di Vita La mancata elaborazione o attuazione del progetto di vita individuale comporta pesanti conseguenze giuridiche trattandosi di uno strumento funzionale a garantire i diritti fondamentali delle persone con disabilità. L’attuazione del progetto di vita, se richiesta, costituisce un obbligo per l’amministrazione, obbligo il cui inadempimento viola i principi di uguaglianza, dignità e inclusione sociale sanciti dalla Costituzione e dalla normativa sovranazionale. L’omessa elaborazione del progetto di vita o la sua mancata attuazione vengono pesantemente sanzionate: numerose e univoche sono le pronunce che condannano le pubbliche amministrazioni a predisporre il progetto di vita entro termini rigorosi anche, eventualmente, dietro il coordinamento di un commissario ad acta nel caso l’inadempimento si protragga. Tali inadempimenti possono inoltre comportare anche la condanna al risarcimento dei danni subiti dalla persona con disabilità. Non mancano, infine, i sostenitori di una responsabilità penale a capo dell’amministrazione che ometta di predisporlo, quale rifiuto di atti d’ufficio. Tutto questo ci fa capire come il progetto di vita non sia solo uno strumento di pianificazione, ma un diritto effettivo e vincolante, la cui tutela è essenziale per promuovere l’autonomia e l’inclusione delle persone con disabilità. 2. Le Novità della Riforma del 2024 → Valutazione Multidimensionale e Progettazione Personalizzata Il D.Lgs. 62/2024 introduce strumenti avanzati per la valutazione multidimensionale, finalizzati a individuare con maggiore precisione le esigenze della persona. Il progetto di vita viene arricchito da: Un approccio partecipativo, che coinvolge attivamente la persona con disabilità e la sua famiglia. La definizione di obiettivi chiari e misurabili, basati sulle preferenze e aspirazioni individuali. La possibilità di presentare all’amministrazione una propria proposta di progetto di vita ⇒ Quest’ultimo passaggio è estremamente importante considerato che l’amministrazione non potrà non prenderlo in considerazione ed, anzi, dovrà, motivare un eventuale rigetto o modifica dello stesso ⇐ → Il Budget di Progetto Una delle innovazioni più rilevanti è la creazione del budget di progetto, un paniere di risorse economiche, umane e tecnologiche provenienti da diverse fonti (Stato, Regioni, Enti Locali e Terzo Settore). Questo strumento consente di: Garantire la copertura finanziaria degli interventi. Superare la frammentazione dei servizi. Promuovere la responsabilità condivisa tra le diverse istituzioni. → Istruzioni Operative per Elaborare il Progetto di Vita L’elaborazione del progetto di vita richiede il rispetto di un iter che coinvolge diversi attori e segue principi ben definiti. Si tratta di un vero e proprio procedimento amministrativo regolato dalla Legge. Di seguito sono sintetizzati i passaggi fondamentali per una corretta predisposizione e attuazione del progetto: Presentazione dell’istanza: questo è l’avvio del procedimento amministrativo: la persona con disabilità, o chi ne cura gli interessi presenta una richiesta formale al Comune, preferibilmente corredata da una bozza di progetto che può essere predisposta anche da professionisti del settore o da associazioni che si occupano di supportare anche in questi passaggi la persona con disabilità. Comunicazione di avvio del procedimento: l’amministrazione deve notificare l’avvio del procedimento, indicando il responsabile, i termini previsti per la conclusione e le modalità di partecipazione dell’interessato. Valutazione multidimensionale: questa fase comprende: Analisi iniziale dei bisogni. Bilancio ecologico per identificare facilitatori e barriere nell’ambiente di vita. Definizione degli obiettivi e delle strategie di sostegno. Progettazione del piano: sulla base della valutazione, si procede a: Individuare le risorse necessarie (umane, economiche, tecnologiche). Coordinare i sostegni in un piano integrato e personalizzato. Prevedere verifiche periodiche e momenti di rimodulazione del progetto. Definizione e sottoscrizione: designazione del case manager;  sottoscrizione della persona con disabilità o di chi la rappresenta e degli enti coinvolti. Monitoraggio e aggiornamenti: durante l’attuazione, è fondamentale verificare periodicamente l’efficacia degli interventi e apportare modifiche in caso di variazioni nei bisogni della persona. Questi passaggi assicurano una presa in carico globale, rispettosa dei desideri e delle necessità dell’interessato, promuovendo un approccio inclusivo e partecipativo. → Entrata in vigore Il nuovo progetto di vita sancito dal D.Lgs. 62/2024 entrerà in vigore il 1° gennaio 2026, garantendo un periodo di transizione per consentire agli enti locali e alle

16 Dicembre 2024 / Commenti disabilitati su Nuovo progetto di vita per le persone con disabilità: ecco i miglioramenti in arrivo
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Sostegno scolastico: quali sono gli strumenti che lo garantiscono?

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Sostegno scolastico: quali sono i passaggi per ottenerlo? L’assegnazione del sostegno scolastico è un processo guidato da normative specifiche che puntano a garantire agli alunni con disabilità il diritto a un’educazione inclusiva. In questo articolo analizzerò i due principali strumenti atti a garantire questo diritto, ovvero il GLO (Gruppo di Lavoro Operativo) e il PEI (Piano Educativo Individualizzato) a darò qualche utile consiglio ai genitori dei bambini con disabilità per tutelarsi al meglio IL GLO (Gruppo di Lavoro Operativo) Normativa di riferimento La costituzione e le funzioni del GLO trovano fondamento nella Legge 104/1992, all’art. 15, comma 10, norma che prevede che presso ogni istituto scolastico venga istituito un gruppo di lavoro per l’inclusione degli alunni con disabilità. Successivamente, il Decreto legislativo 66/2017 (art. 3) e il D.Lgs. 96/2019 hanno introdotto modifiche che precisano la composizione del GLO e delineano con maggiore chiarezza il ruolo di questo gruppo nel processo di inclusione scolastica, in linea con i principi di corresponsabilità educativa tra scuola e famiglia. Composizione del GLO In base all’art. 15 della Legge 104/1992 e alle modifiche del D.Lgs. 66/2017, il GLO è composto dai docenti della classe (inclusi quelli di sostegno), dai genitori dell’alunno o da chi esercita la responsabilità genitoriale, e da figure professionali specifiche, interne o esterne alla scuola, che contribuiscono al percorso educativo dell’alunno, per esempio terapisti privati. Il gruppo è presieduto dal dirigente scolastico o da un suo delegato, che ha il compito di coordinare gli incontri e assicurare che le decisioni prese rispettino il quadro normativo. Altre figure professionali: possono essere coinvolti professionisti come terapisti, rappresentanti dell’ASL e assistenti per l’autonomia e la comunicazione. Al GLO partecipa anche l’UVM (Unità di Valutazione Multidisciplinare) dell’ASL competente che il compito di collaborare con il GLO e di fornire il “necessario supporto”. Funzioni e Compiti del GLO A norma del D.Lgs. 66/2017, art. 7, il GLO è responsabile della redazione, approvazione e revisione periodica del PEI dell’alunno. Questo documento, come vedremo tra poco, è essenziale per definire le strategie didattiche e organizzative di sostegno e per stabilire gli obiettivi educativi dell’alunno. Tra i compiti principali del GLO vi è anche la valutazione delle risorse necessarie per garantire un ambiente di apprendimento inclusivo, come il numero di ore di sostegno e le altre misure compensative (es. addetto all’assistenza, addetto alla comunicazione, ecc.). Quando si riunisce il GLO? Inizio dell’anno scolastico: Secondo l’art. 7 del D.Lgs. 66/2017, il GLO si riunisce all’inizio dell’anno scolastico per definire e approvare il PEI, entro e non oltre il mese di ottobre. Questo incontro stabilisce le basi per il supporto educativo dell’alunno per l’intero anno. Incontri periodici di verifica: Nel corso dell’anno scolastico, il GLO si riunisce periodicamente (come previsto dall’art. 7, comma 2, lettera h) per verificare i progressi dell’alunno e aggiornare il PEI se necessario. Questi incontri possono essere calendarizzati o convocati su richiesta dei membri del GLO, ad esempio per affrontare emergenze o problematiche specifiche. Incontro finale: A giugno, il GLO si riunisce per una verifica conclusiva del PEI e per formulare le proposte di sostegno per l’anno successivo. Questo incontro finale serve anche a valutare l’efficacia degli interventi applicati durante l’anno scolastico. Coinvolgimento della Famiglia e dell’Alunno La partecipazione attiva della famiglia è un pilastro del GLO, come specificato dall’art. 1 del D.Lgs. 66/2017. I genitori contribuiscono alla definizione del PEI, fornendo informazioni preziose sulla vita dell’alunno fuori dalla scuola, e partecipano alla valutazione periodica dei progressi scolastici. Per gli studenti della scuola secondaria di secondo grado, il GLO garantisce anche il diritto di partecipazione diretta dell’alunno, in rispetto del principio di autodeterminazione previsto dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/2009. ATTENZIONE! L’incontro del GLO viene sempre verbalizzato, anche se non sempre la verbalizzazione è contestuale. Quindi è opportuno che i genitori esplicitino le loro richieste, anche se in contrasto con le indicazioni della Scuola (ad es. indicare sempre quante ore di sostegno si ritiene debbano essere attribuite al proprio figlio, idem per le ulteriori misure compensative, o assistenza igienica) chiedendo che vengano comunque verbalizzate. Il verbale del GLO è un documento che deve essere poi condiviso e consegnato ai genitori che ne fanno richiesta. IL PEI (Piano Educativo Individualizzato) Cos’è Il Piano Educativo Individualizzato (PEI) è il documento fondamentale per definire e monitorare le misure di sostegno e inclusione scolastica degli alunni con disabilità. La sua redazione e implementazione è regolata da normative specifiche, che ne delineano la struttura, i contenuti e le modalità di aggiornamento. Quadro Normativo di Riferimento Il PEI trova il suo fondamento nella Legge 104/1992 (art. 12, comma 5), che riconosce il diritto allo studio per le persone con disabilità e che, appunto, introduce la necessità di un piano educativo personalizzato. Ulteriori disposizioni sul PEI sono contenute nel Decreto legislativo 66/2017 (modificato dal D.Lgs. 96/2019), che descrive in dettaglio le modalità di stesura, approvazione e revisione periodica del PEI. In particolare, l’articolo 7 di questo decreto stabilisce i contenuti e le finalità di questo strumento, prevedendo anche l’interazione con il Progetto Individuale definito dalla Legge 328/2000. Finalità e Struttura del PEI Il PEI è redatto con l’obiettivo di garantire un percorso educativo e didattico inclusivo, che si adatti alle esigenze specifiche dell’alunno e promuova il suo sviluppo personale e l’autonomia. Struttura del PEI: il documento è organizzato in sezioni che coprono aspetti essenziali dell’inclusione scolastica, tra cui: Quadro informativo: raccoglie informazioni sulla vita e le abitudini dell’alunno, provenienti sia dalla famiglia che dagli specialisti coinvolti. Profilo di Funzionamento: redatto dall’Unità di Valutazione Multidisciplinare (UVM) dell’ASL, rappresenta la base per individuare le aree di intervento educativo, descrivendo le caratteristiche funzionali dell’alunno (art. 5 del D.Lgs. 66/2017). Obiettivi educativi e didattici: definisce le competenze e le abilità che l’alunno dovrebbe acquisire, personalizzando il curriculum scolastico e stabilendo strategie didattiche specifiche. Osservazioni sul contesto: identifica barriere e facilitatori all’apprendimento, valutando i fattori ambientali e sociali che possono influenzare il percorso dell’alunno. Interventi specifici: descrive i metodi e gli strumenti utilizzati per il supporto dell’alunno, includendo l’uso di

14 Novembre 2024 / Commenti disabilitati su Sostegno scolastico: quali sono gli strumenti che lo garantiscono?
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Il nuovo Decreto Disabilità: novità e cambiamenti introdotti

Il nuovo Decreto Disabilità: novità e cambiamenti introdotti

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Il recente Decreto Disabilità (D. Lgs. 3 maggio 2024, n. 62), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 14 maggio 2024, segna una svolta significativa nella normativa italiana sulla disabilità. Questo decreto introduce modifiche sostanziali a diverse leggi esistenti, con l’obiettivo di promuovere una maggiore inclusione e semplificare le procedure burocratiche. Vediamo nel dettaglio le principali novità introdotte e cosa cambia per le persone con disabilità. Nuova definizione di disabilità Uno degli aspetti più innovativi del decreto è la ridefinizione della condizione di disabilità. Il nuovo testo abbandona termini ormai obsoleti come “portatore di handicap” in favore di una terminologia più inclusiva e rispettosa: “persona con disabilità”.  Questa nuova definizione si basa sull’interazione tra le persone e le barriere comportamentali e ambientali, in linea con i principi della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. La disabilità, quindi, non è più vista come un attributo intrinseco della persona, ma come il risultato dell’interazione con un ambiente non inclusivo​​. Riforma delle procedure di accertamento Il decreto introduce un procedimento unitario di valutazione della disabilità, affidato all’INPS, che unifica la certificazione della condizione di disabilità con altre valutazioni attualmente separate (invalidità civile, handicap, disabilità ex Legge 68/99).  Tale semplificazione mira a ridurre le duplicazioni e a rendere il processo più efficiente. Inoltre, viene eliminata la pratica delle visite di rivedibilità, semplificando ulteriormente le procedure burocratiche per le persone con disabilità​​. Valorizzazione del “Progetto di vita” individuale e personalizzato Una delle novità più rilevanti è la valorizzazione del “Progetto di vita” individuale e personalizzato. Questo strumento, già previsto dalla Legge ma ora maggiormente sviluppato nei suoi contenuti, prevede una valutazione multidimensionale delle persone con disabilità, considerando non solo gli aspetti clinici, ma anche i talenti, i desideri e le esigenze individuali.  Il progetto coinvolge attivamente la persona con disabilità e il suo contesto sociale, con l’obiettivo di creare un piano di intervento su misura che favorisca la piena inclusione e partecipazione alla vita sociale​​. Determinazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) Il decreto istituisce una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, incaricata di definire i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) per le persone con disabilità. Tale cabina di regia, composta da rappresentanti istituzionali e del terzo settore, avrà il compito di identificare le prestazioni essenziali e proporre linee guida per l’integrazione dei LEP con i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)​​. Entrata in vigore Il decreto entrerà in vigore il 30 giugno 2024, con una fase di sperimentazione prevista per tutto il 2025 in nove province italiane. Questa fase servirà a testare le nuove disposizioni in materia di valutazione di base e valutazione multidimensionale, con l’obiettivo di perfezionare ulteriormente il sistema​​. Per ulteriori dettagli sul Decreto Disabilità e per assistenza legale specifica, non esitate a contattare l’avvocato Claudia Porcu, esperta nelle materie che riguardano la disabilità, l’invalidità, le discriminazioni. [Foto di Mikhail Nilov]

7 Giugno 2024 / Commenti disabilitati su Il nuovo Decreto Disabilità: novità e cambiamenti introdotti
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Come leggere i verbali di invalidità e di handicap

Come leggere i verbali di invalidità e di handicap

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Verbali di invalidità e di handicap: ecco come leggerli Non è sempre facile capire che prestazione (economica o non) ti è stata riconosciuta nel verbale di invalidità civile e di handicap. Nelle tabelle seguenti trovi schematizzate le diverse casistiche possibili aggiornate al 2024, in base al grado di riconoscimento di invalidità e al giudizio della commissione. Tutte le tabelle contengono il giudizio della commissione e i relativi diritti connessi al grado riconosciuto. Invalidi civili Schema prestazioni invalidi civili Giudizio commissione Grado riconoscimento Prestazioni Non invalido (patologia non invalidante o con riduzione della capacità lavorativa in misura inferiore ad 1/3, o minore non invalido) Nessuno Nessuna Invalido con riduzione permanente della capacità lavorativa dal 34% al 73% dal 34% Ausili e protesi previsti dal nomenclatore nazionale La concessione di ausili e protesi è correlata alla diagnosi indicata nel verbale di riconoscimento di invalidità civile Invalido con riduzione permanente della capacità lavorativa dal 34% al 73% dal 46% Iscrizione liste collocamento mirato Invalido con riduzione permanente della capacità lavorativa dal 34% al 73% dal 51% Solo per i lavoratori dipendenti: diritto di usufruire del congedo straordinario per cure Invalido con riduzione permanente della capacità lavorativa dal 34% al 73% dal 67% Esenzione parziale del ticket (per visite specialistiche, esami ematochimici e diagnostica strumentale) Invalido con riduzione permanente della capacità lavorativa dal 74% al 99% dal 74% Assegno di invalidità civile (dai 18 ai 67 anni) Invalido con totale e permanente inabilità lavorativa 100% Pensione di invalidità civile (dai 18 ai 67 anni) Invalido con totale e permanente inabilità lavorativa 100% e con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani 100% Tutte quelle precedenti. Oltre alla pensione di invalidità civile anche l’indennità di accompagnamento Invalido ultra 65enne con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani di vita 100% Tutte quelle precedenti Invalido ultra 65enne con impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore 100% Tutte quelle precedenti Invalido ultra 65enne con difficoltà persistenti a svolgere le funzioni ed i compiti propri della sua età 100% No indennità di accompagnamento No assegno di invalidità in quanto ultra 65enne Legge 104/92 Schema prestazioni, Legge 104/92 Giudizio commissione Prestazioni Ai sensi dell’art.4 della legge 05 febbraio 1992 n. 104, la Commissione Medica riconosce all’interessato: portatore di handicap (comma 1 art. 3) tutti i benefici previsti dalla legge 104 no permessi lavorativi orari o giornalieri per sè o per assistere un familiare invalido no congedo straordinario in 2 anni nessuna provvidenza economica Ai sensi dell’art.4 della legge 05 febbraio 1992 n. 104, la Commissione Medica riconosce all’interessato: portatore di handicap in situazione di gravità (comma 3 art. 3) tutti i benefici previsti dalla legge 104 sì permessi lavorativi orari o giornalieri per sè o per assistere un familiare invalido sì congedo straordinario in 2 anni per l’assistenza al familiare inabile nessuna provvidenza economica Minorenni Schema prestazioni minorenni: indennità di accompagnamento e indennità di frequenza Giudizio commissione Prestazioni Minore con difficoltà persistenti a svolgere le funzioni proprie della sua età Indennità di frequenza Minore invalido con necessità di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita Indennità di accompagnamento [foto di RDNE Stock project]

24 Febbraio 2024 / Commenti disabilitati su Come leggere i verbali di invalidità e di handicap
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