La definizione normativa e la Convenzione ONU
La Legge 1 marzo 2006, n. 67, recante “Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”, rappresenta il principale strumento di protezione contro gli atti discriminatori fondati sulla condizione di disabilità. Essa si pone in continuità e attuazione dei principi sanciti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (ratificata dall’Italia con L. 18/2009), il cui scopo è “promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità” e che definisce la discriminazione come qualsiasi distinzione, esclusione o restrizione basata sulla disabilità, che abbia lo scopo o l’effetto di compromettere il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
L’applicazione limitata della Legge e la scarsa consapevolezza
La legge 67 del 2006, benché molto importante per la tutela delle persone con disabilità, è purtroppo ancora scarsamente applicata e, ciò, probabilmente per ragioni culturali ovverosia per una ancora presente scarsa consapevolezza degli strumenti giudiziari a disposizione della persona con disabilità.
Ma ancor prima, perché molti atti discriminatori non vengono neppure percepiti come tali.
E’ dunque fondamentale che la persona con disabilità abbia contezza di questi aspetti tenuto conto che il fattore disabilità comporta esposizione a comportamenti illegittimi, talvolta posti in essere dalla stessa pubblica amministrazione.
Tipologie di discriminazione: diretta, indiretta (e molestia)
La legge individua due tipologie di discriminazione:
Discriminazione diretta: si ha quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente rispetto a una persona non disabile in situazione analoga.
Discriminazione indiretta: si ha quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altri.
Sono, altresì, considerate discriminazioni le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati connessi alla disabilità che violano la dignità e la libertà della persona, oppure creano un clima di intimidazione, umiliazione e ostilità.
Rientra nella discriminazione indiretta anche il rifiuto di un accomodamento ragionevole.
Esempi pratici: quando la discriminazione è diretta e quando è indiretta?
Mentre la discriminazione diretta è facilmente percepibile, non è sempre così per la discriminazione indiretta. Facciamo un semplice esempio chiarificatore:
un museo che espone un cartello con il divieto di ingresso per le persone cieche pone in essere un comportamento esplicitamente fondato sulla disabilità, determinando un’esclusione diretta e vietata dalla legge (discriminazione diretta).
Un museo che, invece, espone un cartello con il divieto di ingresso ai cani, senza prevedere alcuna eccezione per i cani guida, attua una prassi solo apparentemente neutra, che però di fatto esclude le persone non vedenti accompagnate dal loro ausilio (discriminazione indiretta).
L’irrilevanza dell’intento soggettivo
La prima cosa che si deve sapere è che la discriminazione risulta integrata anche in assenza della volontà di discriminare da parte dell’agente la discriminazione si configura anche quando il comportamento è posto in essere senza l’intento di ledere o di discriminare.: Quindi non rileva affatto l’elemento soggettivo e, conseguentemente, la persona con disabilità non è tenuta a dimostrare l’intento soggettivo del soggetto o dell’istituzione che ha posto in essere la condotta discriminatoria, ma solo il fatto in sé di averla subito.
Si tratta di un concetto di grande portata.
Il procedimento giudiziario e l’urgenza
Il procedimento giudiziario previsto dalla L. 67/2006 è un procedimento “snello”, vale a dire che non è soggetto alle rigide prescrizioni previste dal normale rito di cognizione. Inoltre è stabilità la possibilità di agire in via d’urgenza nei casi in cui vi sia il fondato rischio che il trascorrere del tempo possa compromettere irrimediabilmente il diritto della persona con disabilità
Uno degli aspetti più innovativi e incisivi della disciplina riguarda l’inversione parziale dell’onere della prova. In base alla normativa, non spetta alla persona con disabilità provare di aver subito la discriminazione, bensì al presunto discriminante l’onere di dimostrare di non aver messo in atto una o più discriminazioni. Ciò comporta una significativa facilitazione nell’accesso alla giustizia da parte dei soggetti discriminati in ragione della loro posizione di “soggetti deboli”.
Le azioni collettive e il ruolo delle associazioni
Un altro aspetto di fondamentale rilievo riguarda l’attribuzione della legittimazione attiva alle associazioni e agli enti iscritti in apposito registro ministeriale, i quali possono proporre azioni collettive a tutela dei diritti delle persone con disabilità. Tale possibilità rappresenta un importante strumento per contrastare prassi discriminatorie sistemiche e che assumono carattere collettivo, spesso poste in essere da enti pubblici o privati che operano su larga scala.
Esempi significativi includono:
autobus non attrezzati con pedane sollevatrici,
treni privi di sufficienti posti attrezzati,
esclusioni da centri estivi operate dagli enti gestori.
Le decisioni del giudice in caso di accoglimento
Con la sentenza di accoglimento della domanda antidiscriminatoria, il giudice può:
- Ordinare la cessazione del comportamento, condotta o atto discriminatorio.
- Adottare ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti, anche nei confronti della pubblica amministrazione.
- Ordinare l’adozione di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.
- Nei casi di discriminazione collettiva, il piano va adottato sentito l’ente collettivo ricorrente
- Condannare al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, in favore del soggetto discriminato.
- Ordinare la pubblicazione della sentenza, per una sola volta e a spese del convenuto, su un quotidiano a diffusione nazionale
Conclusioni
La tutela contro le discriminazioni fondate sulla disabilità costituisce un presidio fondamentale per l’effettiva attuazione del principio di eguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 della Costituzione.
La Legge n. 67 del 2006, in linea con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia, offre uno strumento giuridico efficace per reagire a condotte discriminatorie, anche quando poste in essere dalla pubblica amministrazione o da soggetti privati titolari di servizi essenziali.
È pertanto auspicabile una maggiore diffusione della conoscenza di tali strumenti, non solo tra le persone con disabilità e le loro famiglie, ma anche tra gli operatori del diritto, affinché possano essere attivate tutte le tutele previste dall’ordinamento.
E’ dunque fondamentale rivolgersi a un avvocato esperto in diritto antidiscriminatorio per poter essere supportati al meglio nell’affrontare un contenzioso ma anche per avere un parere preventivo o un’assistenza stragiudiziale.
Se pensi di aver subito una discriminazione, contatta il mio studio per una valutazione preventiva.
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