COS’E’ L’INVALIDITA’ CIVILE L’invalidità civile presuppone una minorazione fisica e/o psichica e/o intellettiva che comporta nella persona che ne è affetta una riduzione della capacità lavorativa superiore al 33%. Tale criterio opera per i maggiori di età. L’invalidità è espressa in percentuale e, a seconda della percentuale, possono essere riconosciute provvidenze economiche (assegni, indennità, pensioni) e/o altri benefici (es. ausili e protesi, collocamento lavorativo mirato, ecc.). Per i minori di età, invece, la minorazione si valuta in relazione alle difficoltà persistenti di svolgere i compiti e le funzioni proprie di quell’età. Essa non si esprime con una percentuale. COS’E’ L’HANDICAP L’handicap presuppone una minorazione fisica e/o psichica e/o intellettiva che comporta nella persona che ne è affetta difficoltà di apprendimento, problematiche relazionali e di integrazione lavorativa, tali da determinare uno svantaggio sociale o una situazione di emarginazione. L’handicap è considerato grave, ai sensi dell’art. 3 co. 3 L. 104/92, quando le minorazioni siano tali da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera di vita della persona. La distinzione tra handicap “grave” e “non grave” assume particolare importanza in quanto solo il primo dà luogo a benefici di una certa rilevanza (es. congedi di maternità prolungati, permessi lavorativi retribuiti). QUALI SONO LE DIFFERENZE TRA INVALIDITA’ CIVILE E HANDICAP Pur avendo definizioni che possono sembrare simili, invalidità civile e stato di handicap sono due concetti diversi che danno luogo a riconoscimenti diversi: l’invalidità civile, per i maggiorenni, ha come parametro la riduzione della capacità lavorativa a causa della minorazione; per i minorenni ha riguardo alle difficoltà del minore a fare le stesse cose che fanno i coetanei normodotati. La condizione di invalidità viene accertata in base a criteri medico-legali, legati quindi al concetto di funzionalità; lo stato di handicap, invece, esprime la difficoltà di inserimento della persona nel contesto sociale di appartenenza a causa della propria minorazione. Tale condizione viene accertata in base a criteri medico-sociali. Ulteriore differenza tra i due riconoscimenti è che l’invalidità civile dà diritto a specifiche provvidenze economiche (oltre ad altri benefici), mentre lo status di handicap è la condizione per poter usufruire di varie agevolazioni, ma non di erogazioni dirette denaro. COME OTTENERE IL RICONOSCIMENTO DI INVALIDITA’ CIVILE E HANDICAP Per ottenere il riconoscimento di queste condizioni si deve svolgere domanda all’INPS e, in seguito, sottoporsi a visita di fronte alla Commissione Medica. Il parere della commissione è contenuto in un verbale che viene successivamente inoltrato all’interessato, generalmente entro due mesi dalla vista. E’ importante sapere interpretare bene il verbale per capire quali benefici sono fruibili rispetto al riconoscimento ottenuto. Qualora la condizione richiesta non sia stata riconosciuta, o sia stata riconosciuta solo parzialmente, è possibile impugnare il verbale davanti al Tribunale nel termine di sei mesi dalla data di ricezione del verbale. PATOLOGIE CHE DANNO DIRITTO ALL’ESONERO DALLE VISITE DI REVISIONE Ha diritto ad essere esonerato da future visite di revisione per l’accertamento della permanenza dell’invalidità civile e dell’handicap, colui che: è affetto da una patologia che determina una grave compromissione dell’autonomia personale che rientra tra quelle indicate nel D.M. 2 agosto 2007 è titolare dell’indennità di accompagnamento o dell’indennità di comunicazione Accade molto spesso che pur in presenza di queste condizioni, le Commissioni Mediche continuino a prevedere la revisione nei verbali, causando disagi e difficoltà agli interessati che ogni tot anni vengono riconvocati a visita, pur nella gravità della loro condizione che è già stata accertata come tale. In presenza di queste situazioni, dunque, è utile far presente il proprio diritto e chiedere espressamente alla Commissione l’esonero permanente da visite di revisione. E’ ancor più utile far valere i propri diritti, qualora disattesi, in sede giudiziaria. Un discorso a parte sul riconoscimento di invalidità, handicap e diritto all’esonero da revisione va fatto per i portatori della sindrome di DOWN vedi la scheda di approfondimento.
Permessi lavorativi L.104/92 e part time verticale
PERMESSI LAVORATIVI PREVISTI DALLA LEGGE 104/92 E DISCIPLINA DEL PART-TIME L’art. 33 della L. 104/92 prevede espressamente che il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti, ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa. Nulla quaestio quando il rapporto di lavoro instaurato è a tempo pieno. Ma cosa succede se la tipologia di lavoro prestata è a part-time, ovvero con orario ridotto rispetto al tempo pieno? Per prima cosa vanno distinte le tre tipologie di part-time esistenti: Part-time orizzontale: è quello “classico” che prevede mezza giornata lavorativa (ad esempio dalle 8.30 alle 12.30 oppure dalle 14.30 alle 18.30) Part-time verticale: è quello che prevede che il lavoratore lavori a tempo pieno (es. 8 ore) ma solo per alcuni giorni alla settimana (ad esempio 3), o anche limitatamente ad alcune settimane o alcuni mesi. A maggiore esemplificazione è part-time verticale quello in cui il lavoratore presta attività dal lunedì al mercoledì a tempo pieno, mentre non lavora i restanti giorni della settimana. Part-time misto: è un mix tra il part-time orizzontale e quello verticale; il lavoratore, per esempio, può lavorare ad orario ridotto solo per qualche giorno alla settimana. COME VIENE DISCIPLINATO IL LAVORO PART-TIME VERTICALE CON I PERMESSI GIORNALIERI PREVISTI DALLA L. 104 PER ASSISTERE LA PERSONA CON GRAVE DISABILITA’? Nessun problema nel part-time orizzontale dove i 3 giorni previsti per legge sono garantiti. Nel part-time verticale (ma anche quello misto segue la stessa disciplina), invece, possono sorgere problemi: spesso i datori di lavoro riproporzionano (ovvero riducono) i 3 giorni lavorativi spettanti al lavoratore, applicando dei parametri di calcolo indicati in circolari diramate da INPS. Accade quindi sovente che il dipendente con contratto di lavoro di tipo part-time verticale si veda attribuire solo 1 o 2 giorni di permesso, anziché 3 o, parimenti, che il lavoratore già dipendente a tempo pieno e con fruizione dei 3 giorni, se li veda decurtare una volta passato al part-time verticale. Tali prassi, benché indicate nelle varie circolari INPS con tanto di coefficienti di calcolo, sono nella maggior parte dei casi illegittime. Se è vero che non esiste una disposizione specifica di legge che regolamenti espressamente la tipologia di part-time verticale, è altrettanto vero che in questi casi soccorrono i principi vigenti nel nostro ordinamento, tra tutti quello di non discriminazione tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale. Ma soprattutto ciò che si impone è una interpretazione della norma in senso costituzionale e coerente alle indicazioni comunitarie e internazionali in tema di tutela della disabilità. La finalità della norma è, infatti, quella di favorire l’assistenza alla persona affetta da grave handicap in ambito familiare e di salvaguardare il suo diritto alla salute, inteso come diritto fondamentale dell’individuo. LA CASSAZIONE SI E’ PRONUNCIATA SUI PERMESSI LAVORATIVI NEL PART-TIME VERTICALE Questi sono i principi che la Suprema Cassazione ha fatto propri in alcune recenti sentenze, pronunciandosi in casi in cui i lavoratori sono ricorsi in giudizio per tutelare i loro diritti. I Giudici della Cassazione civile, sulla base delle considerazioni sintetizzate poco sopra, sono giunti a riconoscere che il lavoratore part-time verticale debba poter fruire di 3 giorni di permesso, al pari degli altri lavoratori. La Cassazione, tuttavia, ha adottato un “correttivo” al fine di evitare che la fruizione dei permessi del part-time verticale possa tradursi in un “irragionevole sacrificio per la parte datoriale”. Per contemperare le esigenze del lavoratore con quelle di produttività del datore di lavoro rispetto alla particolare articolazione della prestazione lavorativa, la Corte di Cassazione ha ritenuto ragionevole operare il seguente distinguo: 1) se le giornate di lavoro part-time (articolate su base settimanale) superano il 50% delle giornate che sarebbero previste se il lavoro fosse full-time, si ha integrale diritto alla fruizione dei permessi (quindi 3 giorni). 2) se, invece, le giornate di lavoro part-time (articolate su base settimanale) sono inferiori al 50% delle giornate di lavoro a tempo pieno, o limitate ad alcuni periodi dell’anno, allora i permessi potranno essere legittimamente riproporzionati. Esempi: – il lavoratore che lavora 4 giorni su 6, siccome lavora più del 50% rispetto alle giornate in cui lavorerebbe se fosse a tempo pieno, ha diritto di fruire dei 3 giorni di permesso; – il lavoratore che lavora 2 giorni su 5, siccome lavora meno del 50% rispetto alle giornate in cui lavorerebbe a tempo pieno, può vedersi legittimamente riproporzionati i giorni di permesso dal proprio datore di lavoro. Inoltre la Cassazione ha stabilito che meritano accoglimento le domande di risarcimento del danno svolte dai ricorrenti i quali, quindi, si sono quindi visti risarcire il danno subito (secondo criteri equitativi) con una somma di denaro calcolata per ogni giorno di permesso illegittimamente non fruito. CHIARIMENTI SULLA CONCESSIONE DEI PERMESSI LAVORATIVI: CHI LI EROGA? L’art. 33 della L. 104/92 stabilisce che è il datore di lavoro (e non dunque l’INPS) ad erogare i giorni di permesso, in quanto la domanda del lavoratore investe un profilo inerente il rapporto di lavoro. Tant’è che, come spesso accade, quando il lavoratore a tempo pieno -già fruitore dei 3 giorni di permesso- modifica il suo rapporto di lavoro trasformandolo a part-time di tipo verticale, è il datore di lavoro, e non l’INPS, a riproporzionare i permessi. Quindi in controversie di questo tipo dobbiamo rivolgerci al datore di lavoro. Diversamente accade quando è INPS ad escludere preventivamente il diritto del lavoratore a poter fruire dei permessi. In un caso in cui un padre di due gemelli con handicap grave aveva chiesto il doppio dei permessi in ragione del fatto che i figli erano due, è stata riconosciuta la legittimazione passiva dell’INPS, non tanto in quanto soggetto obbligato al riconoscimento dei permessi, ma in quanto soggetto
Autismo e indennità di accompagnamento
In una causa da me patrocinata di fronte al Tribunale di Treviso è stata resa una interessantissima Sentenza che ha avuto il pregio di chiarire due concetti molto importanti in tema di autismo e indennità di accompagnamento, per nulla scontati, soprattutto per tutti coloro che si vedono sistematicamente negare tale diritto dalle varie commissioni mediche. L’INDENNITA’ DI ACCOMPAGNAMENTO VA INFATTI RICONOSCIUTA: ANCHE AI BAMBINI IN TENERA ETA’ ANCHE IN PRESENZA DI UN DISTURBO AUTISTICO LIEVE E Q.I. NELLA NORMA In primo luogo è stato riaffermato il principio per cui l’indennità di accompagnamento è dovuta anche ai “bambini in tenera età” allorquando essi presentino capacità inferiori ai coetanei. Partendo dall’ovvio presupposto che nessun bambino di tenera età, per quanto sano e correttamente sviluppato, è autonomo, il Tribunale afferma vada allora individuato il livello di dipendenza dagli altri che, diverso e più intenso rispetto a quello che caratterizza ciascun bambino di quell’età, fonda e costituisce il presupposto per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento. In secondo luogo, e veniamo specificatamente all’autismo, il Tribunale di Treviso si è premurato di specificare che l’indennità di accompagnamento è riconoscibile anche di fronte ad una patologia autistica lieve e pur in presenza di un Quoziente Intellettivo perfettamente nella norma. Ciò in quanto, specifica il Tribunale, l’assenza di ritardo mentale non incide sulla disabilità necessitante l’assistenza continua abnorme. IL CASO A. è un bambino di 5 anni a cui è stato diagnosticato un disturbo pervasivo dello sviluppo di tipo autistico da una struttura accreditata e specializzata presso la quale è seguito dal punto di vista valutativo e riabilitativo dall’età di 3 anni. Le osservazioni cliniche ripetute nel tempo e la somministrazione di appositi test diagnostici (in particolare la Vineland Scale) hanno rivelato che A. presenta abilità di un bambino di circa 3 anni nell’area della comunicazione, delle abilità quotidiane e della socializzazione. Nonostante sia stato evidenziato che A., a causa del suo autismo, ha abilità e capacità in termini di autonomia, comprensione, socializzazione inferiori a quelle dei suoi coetanei, la commissione medica territoriale non ha però ritenuto di riconoscergli l’indennità di accompagnamento. I genitori hanno allora convenuto in giudizio l’INPS proprio per ottenere il diritto a ricevere quell’indennità di accompagnamento ingiustamente negato. Ed hanno vinto la causa. Per il Tribunale di Treviso è proprio questo divario, ossia l’incapacità di compiere gli stessi atti quotidiani di un coetaneo in ben tre settori, a fondare il diritto all’indennità di accompagnamento. E’ invece irrilevante, chiarisce infine il Tribunale, che il quoziente intellettivo del piccolo A. sia perfettamente nella norma: egli, pur con un Q.I. adeguato alla sua età presenta comunque capacità inferiori ai pari normodotati; da tale divario deriva la necessità di assistenza continua che fonda conseguentemente il diritto all’indennità di accompagnamento. Il ritardo menale, invece, così come altre eventuali comorbilità associate (es. epilessia) potranno, al più, incidere sulla previsione di rivedibilità della misura (di norma esclusa).
Legge del dopo di noi: quali tutele prevede a favore dei disabili?
La legge del Dopo di Noi, ovvero la L. 112/2016 di recente emanazione, intende dare attuazione ad una serie di principi già stabiliti dalla Convenzione di New York del 13 dicembre 2006, in particolare essa “è volta a favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità” (art. 1). Ma chi sono i destinatari di questa legge? Chi può beneficiare di questi interventi? I disabili gravi Gli interventi e le misure di sostegno previste dalla Legge sul Dopo di Noi sono destinate solamente ad una categoria di disabili, ovvero coloro che sono stati riconosciuti portatori di handicap grave ai sensi dell’art. 3 co. 3 L. 104/92. Altre forme di disabilità non riconosciute come gravi, non potranno avere accesso ai benefici concessi da questa Legge. Ma, le tutele previste dalla Legge non potranno essere estese nemmeno a quelle persone il cui stato di grave disabilità sia derivato dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, come per esempio l’Alzheimer. Se è vero che i destinatari di queste misure sono limitati, va anche ricordato che la proposta della Legge del Dopo di Noi, in origine, aveva un contenuto molto più ambizioso, salvo poi venire bocciata dalla Commissione Bilancio per mancanza di adeguata copertura finanziaria. La scelta politica allora è stata quella di limitare le misure di sostegno a quelle categorie di persone disabili più gravi e, conseguentemente, con minor protezione e a maggior rischio di istituzionalizzazione. Quali sono i requisiti per accedere alle misure di sostegno? Per poter ottenere i benefici concessi dalla Legge è necessario che la persona con grave disabilità si trovi: priva del sostegno familiare, in quanto mancanti i genitori o non in grado di fornire adeguato sostegno Ma la Legge prevede che il beneficiario venga progressivamente preso in carico già durante l’esistenza in vita dei genitori e in vista del loro venir meno. Per garantire la massima tutela, le misure di assistenza, cura e protezione dovranno essere individuate con il coinvolgimento dei servizi sociali ed integrate nel progetto individuale della persona disabile, nel rispetto della sua volontà, se manifestabile, o dei suoi genitori. Istituzione del Fondo e finalità Al fine di attuare le misure di assistenza, cura e protezione della persona con disabilità grave priva del sostegno familiare, la Legge ha istituto un apposito Fondo con dotazione di 90 milioni di euro per l’anno 2016, 38,3 per il 2017 e 56,1 per il 2018. Con Decreto dell’11 novembre 2016 sono state ripartite le dotazioni del fondo alle Regioni, fondi che quindi sono già immediatamente utilizzabili. Le modalità di accesso agli interventi e ai servizi saranno individuati dalle singole Regioni mediante l’adozione di indirizzi di programmazione. Sono ora attesi i successivi Decreti Attuativi, in particolare quello che andrà a fissare gli obiettivi di servizio per le prestazioni da erogare. Il Fondo, infatti, sarà destinato a finanziare gli obiettivi di servizio, al fine di: attivare e potenziare il supporto alla domiciliarietà in abitazioni o gruppi-appartamento che riproducano le condizioni abitative della casa familiare prevedere interventi temporanei in soluzioni abitative extrafamiliari per sopperire a situazioni di emergenza ma nel rispetto della volontà della persona con disabilità realizzare interventi innovativi di residenzialità come le soluzioni alloggiative familiari e di co-housing sviluppare percorsi di accrescimento della consapevolezza di sviluppo delle competenze per aumentare il livello di autonomia delle persone con grave disabilità Detraibilità delle spese per polizze assicurative I premi per le assicurazioni per il rischio di morte finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave saranno detraibili dalle tasse al momento della dichiarazione dei redditi. Si tratta di agevolazioni poco significative e di carattere simbolico: il contribuente risparmierà veramente poco! Trust e vincoli di destinazione Ulteriore misura prevista dalla Legge del Dopo di Noi è l’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni per i beni e i diritti che vengono conferiti in un trust, destinati a fondi speciali o oggetto di vincolo di destinazione, purchè questi strumenti siano finalizzati esclusivamente a favorire l’inclusione sociale, la cura e l’assistenza delle persone con disabilità grave. Questi istituti devono rispettare determinati requisiti proprio per evitare abusi ai danni della persona con grave disabilità. Per esempio: devono essere costituiti per atto pubblico devono vincolare il trustee, il fiduciario o il gestore a perseguire il progetto di vita e gli obiettivi di benessere e prevedere a carico di costoro obblighi di rendicontazione devono descrivere le funzionalità e i bisogni specifici del disabile devono stabilire il termine finale della durata del trust, del fondo speciale o del vincolo di destinazione che coincida con la data di morte della persona con disabilità Campagne informative Infine, la Legge prevede che prendano avvio campagne informative volte a diffondere la conoscenza degli strumenti di sostegno da essa previsti e per sensibilizzare l’opinione pubblica a favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità. Sarebbe una benemerita previsione se non fosse precisato che nessun nuovo o maggior onere dovrà essere a carico della finanza pubblica.
Prolungamento della scuola dell’infanzia per bambini con disabilità
Un bambino con disabilità può permanere nella scuola dell’infanzia (ex scuola materna) oltre il 6° anno di età? La legge n. 53/03 prevede che al 6° anno di età tutti i bambini debbano iniziare a frequentare la scuola primaria (ex elementare). Ma questo vale anche per i bambini con disabilità? In effetti la questione è di notevole rilevanza anche dal punto di vista etico: è meglio a far permanere il bambino disabile presso la scuola dell’infanzia dopo il compimento del 6° anno di età in considerazione delle sue capacità naturali o, invece, è più giusto il passaggio alla scuola primaria insieme ai compagni di asilo? Fino a qualche tempo fa, seppure in modo non uniforme nel territorio nazionale, si ammetteva la possibilità di derogare alla L. 53/03 e quindi di consentire la permanenza del bambino alla scuola dell’infanzia oltre il 6° anno di età, per un tempo non precisato. Infatti, la circolare ministeriale n. 235/75, che dettava istruzioni operative per l’iscrizione alla scuola materna di bambini handicappati, non precisava alcun limite di permanenza: in buona sostanza la nota chiariva che per il bambino con disabilità non doveva essere presa in considerazione l’età anagrafica, ma quella mentale, e demandava ogni decisione sulla permanenza scolastica al Collegio dei docenti con la partecipazione di specialisti dell’area medica e socio-pedagogica. Recentemente, invece, il MIUR ha emanato la circolare n. 547/2014 che ha preso una precisa posizione sul tema chiarendo in modo non più interpretabile che gli alunni che necessitano di speciale attenzione possano permanere presso la scuola dell’infanzia oltre il 6° anno di età solamente in presenza di queste condizioni: in casi eccezionali e debitamente documentati, su decisione del Dirigente scolastico per un tempo non superiore ad un anno scolastico Questa circolare è andata a sostituire una circolare emanata poche settimane prima, la n. 338/2014, che aveva sollevato numerose critiche da parte delle rappresentanze delle persone con disabilità: essa era stata emanata per giustificare la permanenza nella scuola dell’infanzia oltre il 6° anno di età di bambini adottati, in considerazione del livello cognitivo e socio-affettivo da loro raggiunto. La nota, però, richiamava esemplificativamente la circolare n. 235/75 per giustificare la permanenza a scuola oltre il 6° anno anche dei bambini disabili. Proprio questo richiamo aveva aperto un’aspra polemica da parte della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) che riteneva, per contro, il contenuto della circolare n. 235/75 del tutto superato con l’entrata in vigore della L. 53/03 che aveva sancito l’inizio dell’obbligo scolastico al 6° anno di età. Il dubbio interpretativo in materia veniva subito fugato dal MIUR con la citata circolare n. 547/2014 emanata poche settimane dopo la precedente: in essa veniva eliminato qualsiasi richiamo alla vecchia circolare n. 235/75. Riferimenti normativi L. 53/03 – D.Lgs. 59/04 – D.Lgs. 297/94 – C.M. 235/75 – Circ. Miur n. 338/14 – Circ. Miur 547/14
Quali sono i riconoscimenti economici a favore dei bambini disabili?
Disabili Minorenni: indennità e pensioni dovute Il minore con disabilità ha diritto ad una serie di erogazioni di denaro a seconda del tipo di minorazione riconosciuta. Esistono quindi provvidenze specifiche per il minore invalido, per il minore cieco e per il minore sordo. Vediamole nel dettaglio, scoprendo gli eventuali divieti di cumulo e i limiti di reddito, se previsti. Minore invalido civile Il bambino riconosciuto invalido civile ha diritto a percepire, in via alternativa, l’indennità di accompagnamento o l’indennità di frequenza. 1. Indennità di accompagnamento: Viene concessa al minore che si trovi nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore o che, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, necessiti di assistenza continua Viene corrisposta per 12 mensilità E’ pari ad € 512,34 (anno 2016) E’ indipendente dal reddito (personale del minore) E’ incompatibile con l’indennità di frequenza E’ incompatibile con il ricovero presso un istituto a carico dello stato 2. Indennità di frequenza viene concessa al minore che presenti delle difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età E’ subordinata alla frequenza continuativa o periodica presso centri diurni, centri ambulatoriali o scuole di ogni ordine e grado (compreso l’asilo nido) e viene corrisposta per tutta la durata della frequenza (va presentata idonea documentazione che lo attesti) E’ pari ad € 279,47 (anno 2016) E’ subordinata al limite di reddito (personale del minore) pari ad € 4.800,38 (anno 2016) E’ incompatibile con l’indennità di accompagnamento E’ incompatibile con l’indennità di comunicazione Minore cieco civile Al minore riconosciuto cieco civile possono essere erogate l’indennità di accompagnamento per ciechi assoluti, l’indennità speciale per ciechi parziali, la pensione per ciechi parziali. 1. Indennità di accompagnamento per ciechi assoluti Viene concessa al minore cieco assoluto Viene corrisposta per 12 mensilità E’ pari ad € 899,38 (anno 2016) E’ indipendente dal reddito (personale del minore) E’ incompatibile con l’indennità di frequenza E’ compatibile e cumulabile con l’indennità di accompagnamento concessa agli invalidi civili (solo in caso di pluriminorazione, ovvero solo se la patologia per cui viene riconosciuto il diritto ad indennità di accompagnamento è diversa da quella che ha provocato la cecità). 2. Indennità speciale per ciechi parziali Viene concessa al minore cieco parziale Viene corrisposta per 12 mensilità E’ pari ad € 206,59 (anno 2016) E’ indipendente dal reddito (personale del minore) E’ incompatibile con l’indennità di frequenza E’ compatibile e cumulabile con la pensione per ciechi parziali E’ compatibile con il ricovero presso un istituto a carico dello stato 3. Pensione per ciechi parziali Viene concessa al minore cieco parziale Viene corrisposta per 13 mensilità E’ pari ad € 279,47 (anno 2016) E’ subordinata al limite di reddito (personale del minore) pari ad € 16.532,10 (anno 2016) E’ incompatibile con l’indennità di frequenza E’ compatibile e cumulabile con l’indennità speciale per ciechi parziali E’ compatibile con il ricovero presso un istituto a carico dello stato Minore sordo civile Al bambino sordo civile può essere riconosciuta l’indennità di comunicazione. 1. indennità di comunicazione viene concessa al minore sordo, ovvero con sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva (ovvero fino ai 12 anni) che abbia compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato viene corrisposta per 12 mensilità E’ pari ad € 254,39 (anno 2016) E’ indipendente dal reddito del minore E’ incompatibile con l’indennità di frequenza E’ compatibile con il ricovero presso un istituto a carico dello stato. E’ compatibile e cumulabile con l’indennità di accompagnamento per l’invalidità civile o la cecità (nel caso, quindi, di soggetti pluriminorati) Riferimenti normativi: L. 18/1980 – L. 508/1988 – L. 289/1990 – L. 66/1962 – L. 33/1980
Persona in stato vegetativo: a chi spettano le scelte terapeutiche?
In virtù del diritto alla autodeterminazione terapeutica, corollario del principio del rispetto dei diritti fondamentali della persona, ciascun individuo ha il diritto di conoscere effetti e rischi dei trattamenti sanitari cui si sottopone. I trattamenti sanitari sono volontari e possono essere somministrati dal medico solo se il paziente abbia espresso il proprio consenso in maniera libera ed informata. Questi principi valgono anche per i soggetti incapaci e la volontà di costoro si estrinseca attraverso chi li rappresenta. Dunque l’Amministratore di Sostegno, o altro soggetto rappresentante, avrà il compito di assistere la persona incapace raccogliendo la sua volontà e comunicando la sua intenzione di sottoporsi o meno a determinati trattamenti terapeutici, ma mai potrà sostituirsi all’incapace nella sua scelta. Ciò è senza dubbio agevole laddove l’incapace abbia conservato una capacità di esprimersi. Ma quanto la persona incapace si trova in stato vegetativo o in stato di incoscienza, come può l’Amministratore di Sostegno comunicare una volontà che il beneficiario in quel momento non è in grado di esprimere? In questi casi, il compito dell’Amministratore di Sostegno diventa molto più impegnativo: egli dovrà interpretare e ricostruire la volontà presunta del proprio sottoposto, tenendo conto anche delle sue convinzioni manifestate nel momento in cui era cosciente. Analogamente a ciò che è successo nel tristemente famoso caso Englaro, purtroppo solamente dopo anni di cause. Ma allora, per evitare tutto questo, c’è qualcosa che la persona può fare in previsione di un futuro stato di incoscienza, pur in assenza di una legge che disciplini il “testamento biologico”? La risposta è sì. Qualunque persona che sia capace può designare un Amministratore di Sostegno in previsione della propria futura incapacità mediante un atto pubblico o una scrittura privata autenticata. Al momento di questa nomina, la persona può anche rendere Dichiarazioni Anticipate di Trattamento in merito alle terapie mediche che intenda o non intende accettare nell’eventualità di una futura incapacità che la renda impossibilitata ad esprimere un consenso. Così facendo, la persona ha già preventivamente espresso una volontà di consenso o dissenso in merito ai trattamenti terapeutici che si dovessero rendere necessari, rendendo molto più agevole il compito dell’Amministratore di Sostegno il quale, una volta nominato ad intervenuta incapacità, non potrebbe che attenersi alle indicazioni che il beneficiario aveva dato nel momento in cui era ancora nel pieno delle sue facoltà mentali.